La storia

LE ORIGINI

A quale periodo si può far risalire la nascita di Orsara? Quali furono i primi abitatori della nosra terra? E’ impossibile dare una risposta a queste domande. In assenza di documenti scritti, si possono solo avanzare delle ipotesi, che non hanno però l’avvallo della storia.
Innanzi tutto il nome “Ursaria” parrebbe significare “terra degli orsi”. La tesi è suffragata anche dal fatto che il feroce plantigrado in passato popolava le nostre contrade e che il territorio di Orsara, ricco di grotte e anfratti naturali, scavati nel tufo e nella roccia, costituiva un abitat naturale per tali animali.
Orsara comunque è stata ritenuta in passato anche non recente uno dei nuclei abitati più antichi della zona. Frà Jacopo d’Acqui nella sua opera “Chronica imaginis mundi” riporta la famosa leggenda dei dieci fratelli orsaresi dei quali “tre sobri” e “sette ebbri”. Partirono da Orsara: i tre sobri si diressero verso oriente e fondarono Trisobbio; i sette ebbri si diressero verso occidente e fondarono Septembrium (Strevi). Certo, è solo una leggenda. Essa però ci dimostra non solo che Orsara era ritenuta uno dei paesi più antichi della zona, ma anche che l’ottimo vino prodotto già allora dalla nostra terra era in grado di dare l’ebbrezza.
Non ci è dato sapere se al tempo della conquista del nostro territorio da parte dei romani (179 a.C.), esistesse gia un nucleo abitato. Appare comunque molto probabile che, se Orsara non preesisteva alla costruzione della via Emilia, sia sorta subito dopo l’apertura della strada nella pianura sottostante. Infatti l’altura, dove sarebbe sorta la torre e successivamente il castello, era un punto strategico di grande importanza che permetteva il controllo di tale strada da Sezzadio a Acqui.

IL GRANDE NEMUS

Sappiamo che da tempo immemorabile e fino verso l’anno 1000, l’area che si estende dal litorale savonese alle sponde del Tanaro (comprendente anche il nostro territorio) era ricoperta da una immensa ed ininterrotta foresta solcata da torrenti e percorsa da impervie mulattiere. Era il famoso “grande nemus” che si trova più volte citato in documenti del medioevo.
Solo nei secoli successivi il grande nemus lascerà il posto a campi, prati, orti e, soprattutto a vigneti, che erano già abbastanza estesi nel 1200.

LA PRIMA NOTIZIA SCRITTA

Per trovare la prima notizia certa di Orsara dobbiamo arrivare al 1155 quando papa Adriano IV, in un documento, conferma al capitolo acquese “quod habetis in Ursaria vel Ripalta”. Và però rilevato che il Dionisotti fa risalire la prima notizia sull’esistenza di Orsara al 1014: in un diploma di Arrigo I fra le terre donate dall’aleramico Ugone al monastero di Fruttuaria, si nominano i beni posseduti in Orsingo (Orsara Bormida secondo il Dionisotti) e Maleria (Molare).

ANNO 950: LA MARCA ALERAMICA

La Marca Aleramica fu istituita da Berengario II re del Regno Italico, nell’anno 950, assieme alle altre due Marche, la Arduinica e la Orbetenga, per tutelare i confini del suo regno.
La marca Arduinica (o di Torino) si estendeva dal territorio piemontese (alto Piemonte) fino a Ventimiglia.
La marca Orbetenga (o di Genova) partiva dalla Lombardia e comprendeva Tortona, genova, e la Ludigiana.
La Marca Aleramica (o di Savona) partiva dal Po, comprendeva tutto il Monferrato e giungeva, fino alla fasci costiera compresa tra Savona e Albenga.
Le tre Marche, attigue, dislocate ai margini del Regno Italico, presero il nome dai tre capostipiti Ardoino, Oberto, Aleramo ed erano, a loro volta, suddivise in più Comitati.
Va innanzitutto precisato, che la Marca Aleramica fù suddivisa in tre Comitati: quello di Vado-Savona, quello di Acqui, quello del Monferrato. Orsara apparteneva a quest’ultimo Comitato; le sue vicende storiche sono quindi strettamente legate alle sorti dei potenti Marchesi del Monferrato.

IL FEUDO DI ORSARA

Il Saletta, storico del settecento, produsse una monumentale rassegna manoscritta di tutti i paesi appartenenti al Marchesato del Monferrato. La descrizione di Orsara inizia nel seguente modo:”Nelle parti di Monferrato, oltre Tanaro, vi è la terra dell’Orsara tra li confini di Riualta, Streui, Morsasco, Montaldo e Castelnuovo. Era questo luogo dell’Orsara uno di quei feudi che anticamente li Marchesi Malaspina riconoscevano dall’alto dominio e superiorità di Monferrato nelli modi e forme di Morsasco, Grognardo e Cavatore e che dopo ne fù investita la famiglia de li Conte Lodrone”.
I Malaspina, probababilmente, non furono i primi signori di Orsara. Infatti nella biografia di San Guido (vescovo di Acqui dal 1034 al 1070), scritta dal Calceato nel secolo XII, si legge che Guido, nobile di Melazzo, divenuto Vescovo, donò alla sua chiesa molti beni e feudi, appartenenti alla sua famiglia. Tra questi ultimi, troviamo Orsara.

IL PAESE

Il paese dominato dal castello: panorama dalla Lodrona
L’antico nome Ursaria può essere ricondotto a terra di orsi che nel lontano passato popolavano il territorio e trovavano habitat ideale in anfratti naturali e grotte di tufo e di roccia assai diffuse ancora oggi nel territorio.
L’origine del nucleo abitato potrebbe risalire al secondo secolo dell’età romana, quando la via Aemilia che passava nella piana sottostante poteva favorire un insediamento stabile e sicuro , data la posizione di strategico dominio che la rocca orsarese esercitava sul territorio circostante fino a Sezzadio.
Il territorio fino al basso medioevo fu ricoperto da un immensa foresta , solcata da torrenti e percorsa da impervie mulattiere: solo dal XIII secolo subentrarono coltivi di campi , prati,orti e vigneti.
Citato nel documento di fondazione dell’Abbazia di San Quintino nel 991, ed in un diploma di Arrigo I nel 1014, il borgo di Orsara ebbe nella Chiesa di San Martino nel 1276 la sua prima parrocchia ed un’organizzazione comunitaria;il castello, l’antico castrum, risale all’XI secolo ed è citato nel documento di donazione di San Guido alla Chiesa Acquese.
Fu feudo dei Signori Malaspina fino al 1530, poi passò come dote di Violante Malaspina ai conti Lodrone fino al 1598 ed infine ai conti Ferrari che ne mantennero l’investitura fino alla fine del feudalesimo e la proprietà del castello fino al 1922.
Il castello , profondamente trasformato nel corso dei secoli fino a divenire da torre di avvistamento abitazione signorile, passò allora in proprietà del marchese Cesare Staglieno, poi dei Signori Capo, provenienti dall’Argentina e nel 1951 fu acquistato dagli attuali proprietari , signori Remondini di Genova.
I conti Ferrari possedendo vasti appezzamenti di terreno anche nel territorio di Rivalta vi fecero costruire le due cascine Valle di Sopra e di Sotto e le munirono di filande per la canapa coltivata nella proprietà . Uno degli ultimi discendenti dei Ferrari, l’ing.Giuseppe, rimaneggiò il castello costituito dalla torre quadrata e da un piccolo corpo di fabbrica ad essa addossato , costruendo l’imponente corpo anteriore con un’altra torre ottagonale.
Come sindaco di Orsara dal 1896 al 1902 si adoperò per migliorare le condizioni di vita del paese mediante l’esecuzione di parecchie opere pubbliche e sostenne il progetto di costruzione della linea ferroviaria Cremolino –Orsara-Alessandria (poi non attuata), convinto della sua valenza per l’incremento della commercializzazione dei prodotti agricoli e del vino. Ideò e fece edificare la chiesa di San Sebastiano e la cappella cimiteriale di famiglia che oggi è destinata ai parroci del paese.
Orsara dal 1600,oltre ad essere feudo dei Ferrari , è una comunità in via di affermazione e di organizzazione autonoma, in grado di contenere il potere esclusivo del feudatario.
E’ il comune infatti, in epoca di saccheggi e distruzioni, di epidemie come peste e colera che decimavano la popolazione, a creare i servizi indispensabili ad una ordinata convivenza. I consiglieri , benestanti detti ‘particolari’, pur se ancora analfabeti , si preoccupano dell’istruzione dei propri figli: assumono come maestro di scuola, un chierico che insegni la grammatica ed a scrivere.
Il Comune cede a mezzo incanto o a titolo gratuito per il servizio ai cittadini sue proprietà immobiliari: il mulino, il forno ubicato nell’attuale via Sottoripa,il macello,l’osteria, la barberia, la fucina del maniscalco allora anche veterinario;organizza e regolamenta la fiera di San Martino e la vendita dei maialetti, il traghetto per oltrepassare Bormida, la brenta ufficiale per la misurazione del vino.
Nel corso del settecento e dell’ottocento la comunità crebbe fino a sfiorare i duemila abitanti;poi iniziò il lento declino demografico dovuto all’emigrazione verso l’America.
La gente conservò le tradizioni degli avi: le feste collettive anche in occasione di ricorrenze religiose, la frequentazione dell’osteria centro pulsante di vita specie dei contadini o della ‘cattolica’centro dei proprietari, o ancora, in epoca recente, il Caffè aperto sulla piazzetta della Madonnina al centro del borgo. Qui si discuteva dei fatti del giorno , si ricordavano compaesani scomparsi sui vari fronti di guerra, chi se n’era andato in cerca di fortuna o almeno di una vita meno grama; si giocava a carte, si partecipava talora alla rituale conclusione culinaria della serata a base di buseca.

Immagini dai comuni

Quasi una favola

Raccontiamo una favola a quei ragazzini
che d’Agosto si riuniscono sul peso,
a quelli che hanno nomi moderni
ma son nipoti di gente del luogo.

Vecchi dai nomi familiari
erano soliti, un tempo, sedere su quella panca
e anche il pittore venuto da Torino
lì amava riposare.

Raccontiamo a questi figli dei “fast food”
[che mangiavamo tagliatelle
polenta, ceci, minestrone col riso
a Natale un po’ di brodo col cappone
a Santo Stefano i salamini con i crauti.

Raccontiamo della festa che si faceva agli agnolotti
che galleggiavano in una scodella di buon vino
che si gustavano senza fretta
a Capodanno, a Carnevale e a San Martino.

A quel tempo non usavano i motorini
nessuno aveva soldi da investire in banca
si squarciava la neve con gli zoccoli
si andava a Rivalta soltanto con la vecchia
[corriera di Badino.

Nessuno comprava la radio
non erano di moda le previsioni del tempo
e se cambiava tempo o stagione
lo predicevano soltanto i calli dolenti.

‘NA QUINTULA

Quintumje ‘na quintùla a icc fanciutén
chi ciaciaro an STa peisa ir mèis d’ Avust
a cui ch’jan nom friIstei ma i son anvud
d’ Iaco, d’ Culén, d’ Taren/na e Madlinén.

Uanot, Arnèst, Bachèt e Giuanén,
‘na vota ans’ isa banca i jero anstai
e lè anche u sur Gigi u stava arposs
quande d’ista u vniva da Tirén.

Quintumje ch’ a mangiavo i tajarén
pulènta, cise, ris con l’ amnèstron
a Nidal an po’ d’ bIO con ir capon
a San Stevo i sancraut coi salamén.

Quintumje dir raviare con ir vén
‘n tra schéIa bèIa pen/na dir pi bon
mangiaje sensa cuntia an sir mesdè
ar prim dI’ an, a Carvé e a San Martén.

Is custimavo nènta i muturén
a savo manc sich’ jero banche e bot
us squarsava ra fiacca coi sucròn
j’ andavo a Rvauta ammache con Badén.

Ra radio anlura u ra cattiva nén
i jero nenta d’ moda ir prevision
e s’ u cambiava u temp o ra stagion
i t’ anfurmavo anpen/na i ogg pulén!

traduzione di Elisabetta Farinetti

Fonti

Elisabetta Farinetti, Egidia Pastorino e Gigi Vacca Associazione Ursaria Amici del Museo Onlus – Orsara Bormida

“Na Quintùla” Le immagini e la memoria
Stampato nel mese di Luglio 2002 da Tipografia Ferrando S.n.c. di Molare

Personaggi Famosi

I Ferrari Conti di Orsara e Marchesi di Castelnuovo

I conti Ferrari saranno gli ultimi signori di Orsara. Ottennero l’investitura nel 1598, la mantennero fino alla fine del feudalesimo, rimasero proprietari del castello fino al 1922, dopo di che, venne venduto al marchese Cesare Staglieno, patrizio genovese. Gli Staglieno lo cedettero ai Capo, provenienti dall’Argentina. Gli attuali proprietari, i Remondini, lo acquistarono da questi ultimi nel 1951.Il castello è tuttora abitato ed è possibile visitarlo.

I conti Lodrone

Il colonnello Giovanni Battista di Lodrone, originario del Tirolo, nato intorno al 1485 da nobile famiglia, avviato giovanissimo alla carriera delle armi, fu comandante di parecchie compagnie di Alemanni. Nel 1522 accorse in difesa di Alessandria attaccata dai Francesi e, forte del suo esercito formato da 2000 Lanzichenecchi e altrettanti soldati Italiani, partecipò a numerose altre imprese militari al servizio dell’imperatore Carlo V e poi di suo figlio Massimiliano II.
Prima di parlare dei Conti Ferrari, ci pare opportuno fermarci sul fatto di sangue avvenuto nella masseria “La Lodrona”.

L’illustre storico acquese dell’ottocento Guido Biorci, a proposito dell’accaduto, scrisse: “… un marchese Lodrone, signore di Orsara…. fu trucidato alla cassina Lodrona dai suoi stessi sudditi stanchi dei suoi eccessi; sorte che toccò pur anche ad altri prepotenti suoi pari.”
Il Biorci diede credito alla tradizione orale locale, che vuole il Conte ucciso a colpi di zappa dagli Orsaresi, stanchi delle sue inquità e sepolto sotto un mucchio di sassi. Altri scrissero che il Lodrone fu trucidato per le sue“oscenità e nefandezze” adombrando l’ipotesi di una rivolta popolare contro lo Ius primae noctis esercitato dal feudatario.

I Malaspina

In effetti, dunque, un Giovanni Battista Lodrone morì di morte violenta alla Lodrona il 28 gennaio 1621, trafitto da 15 coltellate; gli esecutori del delitto sono ignoti. E’ certo però, che l’omicidio non fu opera dei contadini orsaresi, in quanto la discendenza legittima si era estinta nel 1597 e dal 1598 nuovi signori di Orsara erano i conti Ferrari.

I marchesi Malaspina, (potente famiglia di origine genovese, già signori della Lunigiana), furono feudatari di Orsara. Vennero ricordati con riconoscenza da Dante, nella Divina Commedia, per l’ospitalità che gli diedero durante il suo esilio. Il primo Marchese malaspina che resse il feudo di Orsara fu Federico del quale non si conoscono con esattezza né la data di nascita, né quella di morte, che avvenne sicuramente poco prima del 1266.